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Volume I tomo 2

Appendici documentarie. 3) Appunti per una storia dell’anarchismo italiano negli Stati Uniti d’America

È sufficiente gettare uno sguardo sulla cartina statistica posta fronte alla pagina seguente, per rendersi conto come la quasi totalità della stampa periodica prodotta dagli anarchici italo-americani, si trovi concentrata negli stati che si affacciano sulla costa atlantica nord-orientale dell’Unione ed in quelli che stanno loro immediatamente a ridosso. Il solo stato di New York ne assorbe, infatti, quasi il 70% del totale; mentre il restante si trova in pratica distribuito nei soli stati del New Jersey, Massachussets, Rhode Islands e, nell’immediato retroterra, del Vermont e della Pennsylvania. Se si eccettuano la Florida e la California — due località che per diversi motivi, non esclusa la mitezza del clima, del tutto affine a quello mediterraneo, costituirono un tradizionale punto di richiamo per gli emigrati italiani — praticamente nulla può dirsi prodotto in tutto lo sconfinato territorio che, partendo dai confini occidentali del Maryland e dell’Ohio, si estende fino alla costa del Pacifico.

Il fenomeno — che non è conseguente a precise scelte politiche (costituzione di centri di propaganda insurrezionale in località ritenute particolarmente idonee, per la presenza di un forte movimento operaio o anche in considerazione della maggiore permissività delle leggi locali) — riflette il corrispondente sbilancio distributivo che si riscontra rispetto alle principali zone di insediamento degli italiani. È infatti ben noto e fenomeno fin troppe volte rilevato da sociologhi e storici dell’emigrazione, perché sia il caso d’insistervi ulteriormente in questa sede, come la maggioranza degli italiani rinunciasse ad affrontare le difficoltà e le spese di viaggio verso l’interno e si arrestasse nelle città della costa e in quelle di transito, finendo col sovrappopolare i minori centri atlantici, dove esistevano opifici e miniere. Il New Jersey in particolare, col centro notissimo di Paterson, divenne uno dei maggiori punti di richiamo dell’emigrazione italiana; e così la Pennsylvania, da dove giungeva un’alta richiesta di mano d’opera straniera, da impiegare nelle miniere di carbone.

A quale data poi, risalga l’inizio del processo di penetrazione e di progressiva espansione dell’anarchismo negli ambienti dell’emigrazione italiana, non è certo possibile stabilire con esattezza; resta comunque difficile supporlo già avviato, in forma, perlomeno, organica e sistematica, in epoca anteriore agli anni ’80, prima cioè che avesse inizio, come fenomeno di massa, il grande esodo transoceanico dei lavoratori italiani [1]. Nessuna traccia concreta è, in ogni modo, rimasta dell’eventuale lavoro politico svolto fra i connazionali emigrati, da quel ristretto nucleo di profughi internazionalisti, giunto negli Stati Uniti per sfuggire alle repressioni che, in Italia, erano seguite all’episodio del Matese (1876) e all’attentato di Passanante (1878) [2]. Per trovare i segni di un’attività anarchica in qualche modo articolata, bisogna infatti giungere al 1885, anno in cui si costituì in New York quel «Circolo Comunista Anarchico Carlo Cafìero» [3] — il più antico di cui si abbia conoscenza — fattosi più tardi editore del periodico L’Anarchico. In quello stesso anno, un gruppo si era formato anche a Chicago [4], un’altro centro dove l’attività degli anarchici dovette rivelarsi, fin dall’inizio, particolarmente intensa e vivace, se nel genn. 1893, i redattori de II Grido degli Oppressi di New York decidevano di trasferirvisi, «colla speranza d’aver la cooperazione d’un numero maggiore di compagni» [5]; un terzo gruppo, infine, veniva segnalato, nel 1887, a Orange Valley, nel New Jersey [6].

È tuttavia solo nel corso del successivo decennio, che ebbe inizio un reale processo di espansione. Rinforzatosi quantitativamente, in seguito alle nuove ondate emigratorie di massa determinatesi dopo il 1890, l’anarchismo italo-americano poté contare, in quell’arco di anni, anche sulla qualificante presenza di alcuni fra i più noti esponenti rivoluzionari, giunti negli Stati Uniti per avviarvi un vasto lavoro di propaganda e di coordinamento delle attività libertarie rimaste, fino a quel momento, slegate e inconcludenti. Saverio Merlino, che vi soggiornò alcuni mesi durante il 1892, portò avanti un discorso politico, basato fondamentalmente sull’intervento in difesa dei diritti degli emigrati e sull’aperta denuncia dello sfruttamento della mano d’opera straniera. Tracciando un bilancio provvisorio dei risultati apportati dall’intensa attività proselitistica dell’agitatore italiano, l’organo anarchico newyorkese II Grido degli Oppressi sottolineava, con soddisfazione, che «noi abbiamo ormai gruppi già costituiti a New York, Chicago, Paterson, West Hoboken, Brooklyn, Orange Valley, Boston, ed altri ne sono in formazione in Pittsburgh, Baltimore, Filadelfia ed in altre località» [7].

Ad integrare questo vasto lavoro di propaganda provvide, tre anni più tardi, Pietro Gori, che percorse tutto il Paese, da New York a San Francisco, tenendovi oltre 400 conferenze, in italiano, francese ed inglese [8] e contribuendo alla fondazione della Questione Sociale di Paterson. Infine, subito prima dello scadere del secolo scorso, anche lo stesso Malatesta acconsentì, sollecitato dai compagni nordamericani, a trascorrere alcuni mesi di propaganda negli Stati Uniti, dove si adoperò, in particolare, per imprimere un orientamento federalista al locale movimento, ormai decisamente convergente verso quelle posizioni antiorganizzatrici, che ne costituiranno poi, la linea di tendenza predominante [9].

In effetti, i risultati di tutta l’intensa campagna propagandistica svolta nel corso dell’ultimo decennio del secolo scorso, si rivelarono, sotto il profilo organizzativo, alquanto deludenti [10]. La situazione di isolamento in cui era venuto a trovarsi l’emigrato italiano, per l’ostacolo della lingua ed il clima di diffidenza che lo circondava, aveva reso estremamente difficile la sua ambientazione nel mondo americano ed altrettanto improbabile la possibilità di un suo inserimento nelle Unioni operaie. Il disinteresse delle organizzazioni sindacali, che mai tentarono di tutelare concretamente gl’interessi dei lavoratori immigrati [11], ostacolò ulteriormente la formazione di una coscienza di classe e, al tempo stesso, contribuì ad aumentare la sfiducia nelle organizzazioni — non importa se politiche o sindacali — ed i pregiudizi verso ogni forma di lotta e di rivendicazione, che in qualche misura limitasse l’azione individuale [12].

Questo stato di cose giustificava pertanto l’insofferenza, ostentata da strati sempre più larghi della base del movimento, verso schemi organizzativi precostituiti e considerati inutili sovrastrutture, essendo sufficiente a garantire solidità e continuità operativa all’attività del movimento, quel vincolo di solidarismo che di fatto si sviluppa dalla coscienza di appartenere ad una comunità, i cui membri possono tutti riconoscersi sulla base della comune matrice ideologica [13]. Il divario fra «organizzatori» e «antiorganizzatori», fattosi via via più marcato, inevitabilmente degenerò, poco prima dello scadere del secolo scorso, in aperto conflitto, rivelando così l’irriducibilità delle due opposte concezioni della lotta politica. Negli Stati Uniti, dove le due tendenze si differenziarono in forma più marcata che altrove e dove più che altrove seguirono autonomamente un proprio processo di sviluppo, il momento di rottura è precisato da uno storico scontro polemico che durante i primi mesi del 1899, vide a diretto confronto Errico Malatesta e Giuseppe Ciancabilla, all’epoca i portavoce più autorevoli e intransigenti delle due opposte correnti.

Giornalista brillante, ex redattore dell’Avanti! ed attivista del Partito Socialista, dalle cui file si era staccato nel 1897, con una clamorosa rottura, G. Ciancabilla era giunto negli Stati Uniti sui primi del 1899, trovando impiego presso la redazione della Questione Sociale di Paterson [14]. Fervente sostenitore, fino a pochi mesi addietro, della necessità di dare al movimento una solida base organizzativa [15], Ciancabilla preferì adeguarsi, una volta preso contatto coi compagni insediati in nordamerica, ad una situazione già di fatto esistente e favorire, cioè, anziché contrastare, quella linea di tendenza antiorganizzatrice, che nella pratica si andava rivelando come la più aderente alla mentalità degli ambienti radicali italo-americani.

Tali vedute determinarono un violento scontro polemico fra il giovane pubblicista romano ed Errico Malatesta — che proprio in quello stesso periodo aveva assunto di persona la direzione della Questione Sociale e portava avanti una intensa campagna per gettare le basi di un movimento organizzato anche fra l’elemento d’oltreoceano — conclusosi con la decisione di Ciancabilla di declinare l’impegno redazionale e di dare vita a un nuovo periodico, nel quale avrebbe potuto sviluppare più organicamente le nuove concezioni tattiche, maturate in quell’arco di mesi. Il 16 sett. 1899, nasceva così il foglio antiorganizzatore L’Aurora [16], nel quale troviamo anticipati i temi centrali di quella propaganda antiorganizzativa, che pochi anni più tardi L. Galleani riprenderà, con efficacia indubbiamente maggiore, dalle colonne di Cronaca Sovversiva.

Diversi e contrastanti sono i giudizi che si possono oggi storicamente dare nei confronti delle «responsabilità» politiche di quegli esponenti rivoluzionari che incoraggiarono questa svolta di tendenza che spezzava un’unità operativa (o che, quantomeno, non tentarono d’impedirne l’estrema radicalizzazione); e inopportuno mi sembra, in questa sede, insistere su un tema che ha ancora una sua attualità polemica. È inconfutabile, in ogni modo, che la propaganda di questa concezione tattica dell’intervento politico, fra i lavoratori italiani dei vari stati dell’Unione, determinò un fenomeno di rapida crescita, se non qualitativa certamente quantitativa, del movimento. Il grado di popolarità ottenuto da una corrente di idee, rispetto ad altre rimaste minoritarie, di per se comunque non è sufficiente a qualificarne i contenuti. Nel caso specifico, è forse lecito affermare che se tale genere di propaganda riuscì a imporsi con facilità, ciò fu dovuto alla potenziale disponibilità di larghi strati del proletariato italo-americano a recepire e a fare propria un tipo di concezione politica, che non urtava, nonostante il suo formale radicalismo rivoluzionario, le loro aspirazioni sostanzialmente liberaliste.

È certo, in ogni modo, che il «galleanismo» (come viene oggi definita, dal nome del suo esponente più qualificato, la versione nordamericana dell’anarchismo antiorganizzatore), si configura come il tratto più tipico del movimento libertario italo-americano; ed a confronto delle altre tendenze minoritarie, esso seppe altresì dimostrare una eccezionale capacità di sopravvivenza, nonostante l’involuzione qualitativa subita a partire dagli anni venti. Da parte loro, gli anarchici «organizzatori» — nelle cui mani era restata la gestione della Questione Sociale, trasformatasi, dopo la sua forzata cessazione, in L’Era Nuova— seppero mantenere ben salda la «roccaforte» di Paterson; ma incapaci di rompere il loro isolamento ideologico, finirono con l’accentuare le loro posizioni centralizzatrici e scivolare, negli anni immediatamente posteriori al I Conflitto, su posizioni filo-bolscevizzanti e «terzointernazionaliste».

Ben scarsa fortuna ebbe, infine, negli Stati Uniti, l’individualismo neo-stirneriano e quello «d’azione», di stampo ravacholista. Non qualificato da alcun elemento di un qualche rilievo (eccettuata forse, la presenza in territorio americano di Libero Tancredi, intorno al 1909-10) e combattuto per il suo verbalismo violento e inconcludente, dagli stessi anarchici di altre tendenze, esso esaurì nell’arco di pochi anni (all’incirca fra il 1908 e lo scoppio della Grande Guerra) il suo sforzo d’inserirsi all’interno del movimento libertario, dopo aver prodotto pochi stampati, difficilmente qualificabili sul piano politico [17].

* * *

Con lo scoppio del I conflitto e l’entrata in guerra degli Stati Uniti, hanno inizio gli anni più difficili per la storia del movimento anarchico italo-americano, divenuto oggetto di una sistematica campagna persecutoria, in conseguenza dell’appoggio da questo dato alle agitazioni operaie — scoppiate un po’ ovunque, negli stati dell’Unione, per effetto della grave depressione economica che aveva colpito il Paese — ed al rifiuto di numerosi anarchici di assoggettarsi alla legge di coscrizione militare obbligatoria (Selective Military Conscription Bill) .votata dal Congresso il 17 mag. 1917.

Gli arresti indiscriminati, seguiti dalla deportazione in massa dei sovversivi di ogni nazionalità [18], la soppressione violenta di tutta la stampa radicale, gli abusi ed i crimini commessi liberamente in spregio ad ogni garanzia costituzionale, dalla polizia americana [19], determinarono inevitabilmente, durante la fase più acuta della reazione wilsoniana (1919-20), lo schiudersi di un periodo di clandestinità, nel corso del quale tuttavia, la continuità delle attività operative degli anarchici non risultò del tutto compromessa, come attestano le molte pubblicazioni diffuse alla macchia in quello scorcio di tempo (La Jacquerie di Paterson, L’Ordine di New York, etc.).

La fondazione del periodico L’Adunata dei Refrattari, avvenuta nell’apr. 1922 per iniziativa di un gruppo galleanista superstite della reazione wilsoniana, segnò l’avvio di una fase di ripresa, anche se lo sforzo. ricostruttivo restò in larga misura invalidato da una serie di violente polemiche, dilagate in quell’arco di anni all’interno del movimento. L’eccezione sollevata da più parti sul sistema di conduzione dell’Adunata e sull’attendibilità politica di alcuni membri del suo gruppo editore, comportò un vero fenomeno di secessione (Convegno nord-americano di Pittsburgh, del 25-27 dic. 1925), con la formazione di un’ala dissidente, le cui componenti si riconobbero più che sulla base di un’affinità programmatica, su quella di una comune critica alla prassi, giudicata «antilibertaria», dei gruppi adunatisti. L’impegno concordato da questa sorta di «fronte unico» anarchico, per sviluppare un lavoro d’intervento politico autonomo e alternativo a quello dell’Adunata, in pratica non sfociò in iniziative di un qualche rilievo. I fogli di propaganda, creati in tale prospettiva dai gruppi separatisti, durante la seconda metà degli anni venti, non seppero d’altronde presentare alcun programma chiaramente sostitutivo di quello portato avanti dall’organo galleanista, la cui impostazione ideologica, d’altro canto, non era mai stata messa in discussione. In quanto organo degli «antiorganizzatori», L’Adunata allargò anzi la sua influenza, giungendo a configurarsi — come rilevava in una circostanza, uno storico dell’anarchismo — non solo quale espressione di una parte dell’emigrazione italiana negli Stati Uniti, ma altresì come «la voce di una tendenza del movimento anarchico internazionale, nel quale del resto aveva larga diffusione» [20].

L’unico discorso politico realmente alternativo a quello portato avanti dall’Adunata, ci è offerto, durante gli anni compresi fra le due guerre, dal gruppo che si raccoglieva attorno al Martello, il battagliero organo ad indirizzo anarco-sindacalista, diretto e animato per oltre un quarto di secolo, da Carlo Tresca, una delle più prestigiose figure di agitatori libertari, prodottesi negli ambienti rivoluzionari degli italo-americani. Tale periodico fu il solo forse, capace d’inserirsi con realismo nel vivo delle lotte operaie, anche se al pratico conseguimento di tale obiettivo dovette spesso sacrificare la salvaguardia dei principi, cedendo pertanto sul terreno del compromesso ideologico [21]. Per tali posizioni, il suo gruppo editore si ritrovò ben presto in aperto antagonismo con tutti quei settori del movimento, che formatisi alla scuola del vecchio anarchismo «eroico» e intransigente, non potevano accettare il pragmatismo rivoluzionario del foglio di Tresca, il cui indirizzo venne considerato — almeno in qualche caso limite — come estraneo all’orbita d’intervento libertario.

Al di fuori e al di sopra delle molte beghe intestine e degli interminabili scontri polemici, gli anarchici italoamericani seppero dar prova comunque, di ritrovare una unità d’azione nei momenti che richiedevano il massimo impegno militante. Ne sono un esempio concreto la campagna di difesa per Sacco e Vanzetti e la lotta contro il fascismo in Italia: due interventi che riuscirono a mobilitare in forma massiccia e a dispetto di ogni interna divergenza più o meno formale, la totalità delle forze libertarie, pronte a riconoscersi in blocco sulla base della comune matrice antiautoritaria, una volta di fronte alle minacciose congiure della reazione internazionale. La lotta antifascista in particolare — che per la complessità del suo intreccio cospirativo, richiede un’esposizione ed un’analisi più ampia di quanto sarebbe possibile svolgere in questa sede — costituì anzi, uno dei momenti più vivi e interessanti, nella storia dell’intervento politico del movimento libertario italo-americano, divenuto, fino alla caduta del Regime mussoliniano, il principale punto di sostegno per le attività sovversive condotte in Europa dai correligionari fuorusciti e, più direttamente, un importante centro operativo.


Bibl. essenziale - La storia dell’anarchismo italiano negli Stati Uniti d’America, ancora non è stata scritta, nonostante l’interesse che presenta il fenomeno e la sua indubbia importanza all’interno dei movimenti radicali nordamericani; e mancano altresì adeguati studi preliminari, come una seria analisi delle fonti (non solo di quelle a stampa, sommariamente elencate nel corso di questo volume). Si possono tuttavia consultare, con indubbia utilità, i seguenti lavori compilati in epoche diverse e tutti di diverso valore e impostazione:
Gino CERRITO, Sull’emigrazione anarchica italiana negli Stati Uniti d’America, in «Volontà» (Pistoia), a. XXII, n. 4 (lug.-ag. 1969), pp. 269-276 (costituisce parte della relazione fatta al «Simposium sull’emigrazione italiana negli Stati Uniti d’America», organizzato dalla Facoltà di Magistero dell’Università di Firenze, nei giorni 27-29 mag. 1969); Un trentennio di attività anarchica (1914-1945), Cesena, Edizioni «L’Antistato», 1953, parte II (pp.119-176): Gli anarchici italiani negli Stati Uniti d’America [a cura di Max SARTIN]; Paul GHIO, L’Anarchisme aux États-Unis. Précédé d’une lettre de Louis Merle, Paris, Librairie A. Colin, 1903, in-16, pp. XVI-196. (La parte relativa agli anarchici italo-americani (pp. 137-158), è stata più tardi riprodotta in: P. GHIO, Études italiennes et sociales, Paris, Librairie des Sciences politiques et sociales, 1929, pp. 158-169, col tit.: Les révoltés de l’anarchie); Ettore ZOCCOLI, I gruppi anarchici degli Stati Uniti e l’opera di Max Stirner, Modena, Vincenzi, 1900, in-16, pp. XVI-245; Breve historia del movimiento anarquista en Estados Unidos de America del Norte…, s.l., Edicione «Cultura Obrera», s.d. [1973], in-16, pp. 91. (Contiene: A. MARTIN, Ensayo de sintesis histórica, pp. 8-26; V. MUÑOZ, El movimiento anarquista en Estados Unidos. Grupos étnicos. Actividades. Publicaciones, pp. 27-86; F. MONTSENY, Del processo Sacco-Vanzetti a 1971. Breve resumen, pp. 87-91). Qualche utile informazione si ricava anche da M. DE CIAMPIS, Storia del movimento socialista rivoluzionario italiano, in «La Parola del Popolo. Cinquantesimo anniversario 1908-1958» (Chicago), dic. 1958 - genn. 1959, pp. 136-163, sebbene il lavoro sia sostanzialmente limitato ad una storia degli I.W.W., in larga misura ricostruita sullo spoglio del Proletario.

Integrano, in qualche misura, questa carenza di studi d’insieme, alcune biografie di militanti che svolsero la loro attività principalmente negli Stati Uniti o che ebbero quantomeno parte nel processo di formazione e di sviluppo del movimento italiano nel nordame- rica. Oltre alle tre maggiori biografie di E. Malatesta (L. Fabbri, M. Nettlau, A. Borghi), si segnalano in particolare:
Ugo FEDELI, Luigi Galleani. Quarantanni di lotte rivoluzionarie (1891-1931), Cesena, Edizioni «L’Antistato», 1956, in-8, pp. 219; id., Giuseppe Ciancabilla, ivi, 1965, in-16, pp. 81; Umberto CONSIGLIO [sic; leggi: Alfonso CONIGLIO], Figure e lotte dell’anarchia. Pietro Calcagno in America, in «Umanità Nova» (Roma), a. XXXVIII, n. 48 (30 nov. 1958), p. 2. Su Umberto Postiglione (1893-1924) vd. la Presentazione di V. VALLERA a: U. POSTIGLIONE, Scritti sociali, Pistoia 1972. Non inopportuno infine mi sembra che sia un generico rinvio a quella inesauribile miniera di notizie che è il Casellario Politico Centrale, all’ACSR, pur raccomandando l’uso cauto di queste fonti, per loro stessa natura inserene e non di rado scarsamente attendibili.

Sul «caso Bresci», è stata prodotta, in questo secondo dopoguerra, un’abbondante letteratura, anche se viziata in massima parte dalla tendenza a scivolare sul terreno puramente descrittivo e dall’incapacità ad uscire dai limiti del pezzo giornalistico «di colore». Decisamente da rigettare, perché metodologicamente scorretto, è il saggio di L. V. FERRARIS, L’assassinio di Umberto I e gli anarchici di Paterson, in «Rassegna Storica del Risorgimento», a. LV, fase. I (genn.-mar. 1968), pp. 47-64. Della restante produzione su questo soggetto, ricordo: Arrigo PETACCO, L’anarchico che venne dall’America, Milano, A. Mondadori, 1969, in-16, pp. 230, giunto oggi alla sua 2ª ed. (ivi, 1974), integrata da alcuni dati supplementari; Armando MEONI, Uno che passerà alla storia, in «Prato; storia e arte», a. X, n. 6 (dic. 1969), pp. 7-22; U. A. GRIMALDI, Il re «buono», Milano, Feltrinelli, 1970 (a Bresci è interamente dedicato l’ultimo cap.: Con palle tre, pp. 442-471). Per una immagine viva di Paterson, nello stato in cui si trovava all’epoca dell’attentato, vd. invece Cronaca Sovversiva (Barre, Vt.), a. V, n.20, del 18 mag. 1907.

Particolarmente ricca è, infine, la letteratura relativa al caso Sacco e Vanzetti. Dei molti lavori apparsi sull’argomento, ricordo: G. L. JOUGHIN -M. E. MORGAN, The Legacy of Sacco and Vanzetti. New York, Harcourt, Brace & Co., 1948, pp. XVII-598 (l’opera, che è corredata (pp. 557-580) di un vasto repertorio bibliografico, è forse il lavoro più esauriente, sotto il profilo giuridico); H. M. FAST, The passion of Sacco and Vanzetti. A New England legend, New York, Blue Heron Press, 1953, pp. 254 (traduzione italiana: Roma, Edizioni di Cultura Sociale, 1953); H. B. EHRMAN, The Untried Case: the Sacco-Vanzetti Case and the Morelli Gang, New York, Vanguard Press, 1960, pp. 268; A. PASSIGLI, Sacco e Vanzetti: un caso di storia sociale americana, in «Il Ponte» (Firenze), febb. 1961, pp. 208- 215. Più utili per una ricostruzione dell’attività degli anarchici italiani negli Stati Uniti, sono ovviamente i lavori pubblicati all’epoca in cui la vicenda era ancora in corso o immediatamente posteriori alla sua conclusione. (Una sommaria bibliografia, dovuta a D. ABAD De SANTILLAN, segnalava già sui primi del 1928, almeno una ventina di titoli. Vd. Bibliografia del caso Sacco y Vanzetti, in «La Protesta. Suplemento quincenal» (Buenos Aires), n.277, del 30 genn. 1928, p. 68). Fra gli altri ricordo in particolare: R. SCHIAVINA, Sacco e Vanzetti. Cause e fini di un delitto di Stato, Parigi, Edito a cura del Comitato Anarchico «Pro Vittime Politiche d’Italia», 1927, pp. 109; E. LYONS, Vita e morte di Sacco e Vanzetti, New York, «Il Martello» Publishing Co., Ine., s.d. [1928], pp. VII-199.

Per la conoscenza e l’eventuale approfondimento di taluni aspetti ideologici dell’anarchismo italo-americano, e in particolare delle idee espresse dalla corrente antiorganizzatrice, indispensabile è la presa di contatto diretta con gli scritti di L. Galleani, che apparsi in origine sulle colonne della Cronaca Sovversiva, vennero più tardi riuniti per argomento in più raccolte antologiche. Fra queste: Aneliti e Singulti, Newark, N.J., Biblioteca de L’Adunata dei Refrattari, 1935; Figure e Figuri, ivi, 1930; Una battaglia, Roma, Biblioteca de L’Adunata dei Refrattari, 1947; La fine dell’Anarchismo?, Newark, N.J., Edizione curata da vecchi lettori di «Cronaca Sovversiva», 1925 (altra ediz.: Cesena, ed. «L’Antistato», 1966).

Per la posizione dei gruppi che fecero capo all’Adunata dei Refrattari, vd. invece, Rivoluzione e controrivoluzione. Manifesto dei gruppi anarchici riuniti del Nord America [di Max SARTIN] New York, 1944.

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[1P. Ghio osservava che se negli Stati Uniti «la présence … d’une propagande d’anarchisme insurrectionnel parmi les ouvriers italiens a pour origine les mêmes causes qui ont déterminé la formation d’une pareille propagande dans les milieux appartenant à d’autres nationalités : l’exode des révolutionnaires européens à la suite des lois répressives édictées en Europe», per quanto riguarda l’Italia, è anche vero che «cet exode coincide avec le premier mouvement d’émigration italienne vers les États-Unis». P. GHIO. L’Anarchisme aux États-Unis, Paris 1903, p. 155. Girolamo Valenti, in «La Parola» (New York) del 17 febb. 1940 (cit. da M. De Ciampis, in «La Parola del Popolo Cinquantesimo anniversario, 1908-1958», p. 136) accenna comunque ad una propaganda socialista svolta fin dal 1871, fra gli emigrati italiani, da parte della sezione francese dell’Intemazionale di New York.

[2Fra i nomi più illustri di questa più antica generazione di emigrati politici, ricordo quello del conte Francesco Ginnasi (1859-1943), uno dei partecipanti alla banda del Matese. Cf. P.C. MASINI, Gli Internazionalisti, Milano-Roma 1958, p. 131.

[3Cf. Il Paria (Ancona), a. I, n. 10, del 26 lug. 1885 (la notizia è riferita nella sezione dedicata agli «Atti dell’A.I.D.L.» cui, evidentemente, il circolo newyorkese, aveva dichiarato di aderire). Segretario del gruppo era, nel 1887, Ettore Scalabrini. Cf. Humanitas (Napoli), a. I, n. 6, del 12 giu. 1887, nella rubr. Corrispondenze. L’anno successivo i grupppi attivi a New York erano due, fusisi poco dopo (dic. 1888) per costituire «un solo e grande Gruppo Anarchico Italiano». Cf. L’Amico del Popolo (Brescia), a. II, n.2, del 12-13 genn. 1889 nella rubr. Movimento Socialista.

[4Cf. Il Paria (Ancona), a. I, n.II, del 2 ag. 1885, nella rubr. Movimento Rivoluzionario: «A Chicago (U.S.A.) oltre ai numerosi gruppi di altre nazionalità già esistenti, si è costituito da poco un circolo comunista anarchico di lingua italiana in cui vi fanno parte molte donne».

[5Cf. Il Grido degli Oppressi (N.Y.), a. II, n.2, del 21 genn. 1893.

[6Cf. Humanitas (Napoli), a. I, n. 18, del 17 lug. 1887, nella rubr. Nostre corrispondenze. Vi facevano parte, fra gli altri, certi Delfino Grosso e Antonio Gerodetti. Con alterna fortuna, questo gruppo visse ancora vari anni. Dopo essersi sciolto «per causa d’un ex compagno, che abusava della fiducia degli amici», esso venne ricostituito nel 1892, per iniziativa, principalmente, dei fratelli Grosso, che avevano messo a disposizione la loro barra, per le riunioni settimanali degli associati. Il villaggio industriale di Orange Valley — il cui nome ricorre più volte, come centro di attività libertarie, durante questa prima fase «pionieristica» dell’anarchismo italo-americano — era, all’epoca, uno dei punti di richiamo per i lavoratori italiani immigrati, che per la massima parte venivano impiegati nell’industria cappelliera. Nel 1892, essi erano oltre 300, autorganizzatisi a mezzo di una Società di Mutuo Soccorso. Cf. Il Grido degli Oppressi (New York), n.2, del 18 giu. 1892 nella rubr. Spigolature (corrispondenza da Orange Valley).

[7Cf. L’Associazione dei Lavoratori Italiani, in «Il Grido degli Oppressi» (New York), n. 10, del 10 nov. 1892. Dallo spoglio del giornale risultano, più dettagliatamente: a New York, gruppo «Gli Oppressi», che contava tra i suoi membri più attivi, i due romagnoli Vito Solieri e Luigi Raffuzzi, Gennaro Duca, Severino Coco (o Conca?), Pietro Menta, oltre lo stesso S. Merlino; a Chicago, gruppo «La Solidarietà» (cui aderivano, fra gli altri, A. Carubbi, Mancini, A. Cesari, A. Cariosa); a Paterson, NJ., «Circolo Studi Sociali», formatosi in seguito allo scioglimento del gruppo «Augusto Spies»; a Orange Valley, N.J., gruppo «Carlo Cafiero»; a Boston, gruppo «Giordano Bruno».

[8Cf. S. FORESI, La vita e l’opera di Pietro Gori …, 2ª ed., Milano, ed. Moderna, 1949, p. 14.

[9Sull’attività di Malatesta negli Stati Uniti, vd. L. FABBRI, Malatesta, Puebla, Pue, Méx., 1967, pp. 159-161.

[10Una forte spinta per la formazione di un movimento organizzato, non era mancata da parte di tutti gli esponenti dell’anarchismo italiano, che a turno avevano soggiornato negli Stati Uniti, in quell’arco di anni. Già Merlino aveva tentato di dare vita ad un organismo, a carattere sindacale (definito «di resistenza e di emancipazione»), fra i lavoratori italiani d’America ed il cui «Programma» si trova pubblicato per esteso su Il Grido degli Oppressi (New York) del 26 nov. 1892, sotto il tit. L’Associazione dei Lavoratori Italiani. Sempre dalle colonne di questo periodico, inoltre, si erano succeduti gli appelli per un’attività politica e sindacale organizzata, in quanto — vi si affermava — «finché non opporremo all’organizzazione degli oppressori l’organizzazione degli oppressi, la libertà ed il benessere rimarranno una vana speranza» (cf., sul n. 13, a. II, del 30 dic. 1893: Ai lavoratori. Organizziamoci!). L’esemplificazione potrebbe continuare ma può bastare un ultimo richiamo all’opera svolta, in tal senso, da E. Malatesta, che proprio negli Stati Uniti redasse — su richiesta del gruppo «Avvenire» di New London, Conn., federato con altri di Croton, Ivoryton, Norwich, Conn., e di Westerlv, R.I. — quel «Programma» d’intesa associativa, che verrà più tardi utilizzato per stilare il programma dell’Unione Anarchica Italiana. Cf. E. ZOCCOLI. L’Anarchia. Gli agitatori, le idee, i fatti, Milano, s.d. [1944] p. 363; L. Fabbri, op. cit., p. 161.

[11Ad ostacolare l’accesso alle organizzazioni sindacali, si aggiungeva inoltre la quota d’iscrizione alle Unioni, che di norma era troppo elevata per un unskilled da poco emigrato. Cf. Operai italiani e operai americani, in «Il Grido degli Oppressi» (New York), n. 1, del 5 giu. 1892. «I diritti d’entrata alle Unioni sono generalmente molto alti, paiono fatti apposta per impedire agli emigrati d’entrarvi, per fare dell’Unione un privilegio degli operai benestanti. Si citano pure casi in cui le Unioni hanno respinto gl’italiani che domandavano di farne parte».

[12Sintomi chiari di questa tendenza antiorganizzatrice, si manifestarono, negli Stati Uniti, fin dall’inizio degli anni ’90. In una corrispondenza da New York di Vito Solieri, pubblicata da Il Grido degli Oppressi (Chicago), dell’8 apr. 1893, sotto il tit. Libertà individuale, si legge, fra l’altro: «L’oppresso deve attendere la sua salvezza dalle sue forze, e non più dai Congressi Conferenze, altrimenti sarà sempre frustrato a sangue dal privilegio [sic]. Non sarebbe forse meglio che ognuno facesse quel che può e quel che sa fare, abbandonando tutto ciò che puzza di parlamentarismo. Intendiamoci pure con tutti i volenterosi senza fissare né giorno né luogo».

[13In nota ad un art. di G. Filippone (Organizzazione e Solidarietà), apparso sul n.u. La Pasqua dei Lavoratori (New York, 1 mag. 1898), si legge la seguente puntualizzazione: «Con la parola organizzazione, noi non intendiamo dire di quella forma attuale di costituzione sotto cui alcuni individui si uniscono per formare la così detta Società, ma bensì di una organizzazione morale, che abbia per base la comunanza delle idee che professiamo e che debbono unirci con un vincolo di fratellanza intesa nel vero senso della parola».

[14Su G. Ciancabilla (1871-1904), si veda la biografia, pubblicata postuma da Ugo Fedeli (Cesena, L’Antistato, 1965). Un breve profilo biografico — che in buona parte corregge le numerose inesattezze in cui sono incorsi tutti gli storici che, più o meno incidentalmente, si sono occupati del Ciancabilla — venne stilata in data sett. 1900, dal Prefetto di Rovigo e si trova allegata agli atti del processo contro I. Bozzo!an, al Tribunale di Rovigo (Processi penali, a. 1900, n. reg. 217).

[15Cf., a p. 241, quanto detto a proposito dell’Agitatore di Neuchâtel.

[16«Antiorganizzatore», è puntualizzato fin dal primo n„ in una secca risposta (False interpretazioni) all’organo dei socialisti democratici Il Proletario, che aveva definito «individualista» la tendenza di Ciancabilla. «Non ci attribuiscano — vi era ancora precisato — intenzioni e metodi di lotta che non sappiamo nemmeno concepire».

[17Esempi, fra i più scadenti ma anche fra i più significativi, della libellistica prodotta dagli individualisti italo-americani, sono il Sorgiamo! (New York, 1908-09) ed alcune pubblicazioni ad esso collegate, come Il Piccone di Taylorville, Ill. e La Gogna di Kensington.

[18Il 24 giu. 1919, venne deportato a bordo del piroscafo «Duca degli Abruzzi», lo stesso Luigi Galleani. Lo accompagnavano, fra gli altri, Raffaele Schiavina e i coniugi Irma e Giobbe Sanchini. Identica sorte subirono, in quello stesso periodo, Ugo Balzano di Cleveland, Ohio e Isidoro Bertazzon, di Seattle, Wash.

[19Più che noto il caso dell’anarchico Andrea Salsedo, rinvenuto cadavere la mattina del 3 mag. 1920, sul marciapiede di Park Row, di fianco al vecchio ufficio postale centrale di New York City. È convinzione unanime, nonostante la rete di omertà che consentì la definitiva archiviazione di questo caso, che a perpretare il crimine sia stata la stessa polizia, facendolo precipitare dalla finestra della cella in cui lo teneva rinchiuso, e sita al 14º piano dell’edificio sovrastante. Si vede in proposito, l’importante testimonianza di L.F. POST, The Deportations Delirium of Nineteentwenty; a personal narrative of an historic officiai experience. Introduction by Morfield Storey, Chicago, Charles H. Kerr & Co. Editors, 1923. (Si veda, in particolare, il cap. XXXII: The Salsedo Homicide, accessibile anche, in traduzione italiana, su Fede! (Roma), a. III, n. 70, del 1 mar. 1925). F.L. Post (1849-1928), era stato «Assistant Secretary» al Ministero del Lavoro, fra il 1913 e il 1921

[20G. CERRITO, Sull’emigrazione anarchica italiana negli Stati Uniti d’America, in «Volontà» (Pistoia), lug.-ag. 1969, p. 276.

[21Per un’analisi dettagliata dei contenuti di questo periodico, vd. comunque, quanto detto a p. 201 sqq.