La storia dell’anarchismo italiano in Egitto, affonda le sue origini in epoca internazionalista, con l’arrivo in territorio ottomano di gruppi di profughi, sfuggiti alle repressioni che, in Italia, erano seguite ai moti bakuniniani del ’74. In una sua più tarda rievocazione, il livornese Icilio Ugo Parrini [1] insisterà tuttavia a sottolineare l’esistenza, se non di un «movimento», almeno di un piccolo nucleo internazionalista, sorto in precedenza e autonomamente, fra l’elemento italiano di Alessandria; e avocherà a sé il merito di avere convertito alle nuove idee di emancipazione sociale, sottraendolo ai circoli repubblicani, quel gruppetto di pionieri che più tardi avrebbe costituito il nocciolo della «Sezione alessandrina» dell’A.I.D.L. Anche se difficile risulta oggi l’accertamento di tali notizie, è possibile che in realtà, l’eco degli eventi insurrezionali, verificatesi in quello scorcio di tempo in Italia, e la tattica, caldeggiata da Luigi Castellazzo ed altri repubblicani, di amoreggiamento «con l’idea di una temporanea alleanza con gli anarchici per portare avanti i … piani di rovesciamento della monarchia» [2] avesse suscitato vivaci dibattiti fra i mazziniani d’Egitto ed effettivamente spinto qualche elemento repubblicano nell’area internazionalista.
Comunque sia, già nell’apr. 1876 troviamo operante ad Alessandria, una «Sezione» dell’Internazionale, attorno alla quale si raccoglievano i nomi di Carlo Bertolucci [3], Leoncini, Boteghi, Giovanni Urban, Giuseppe Messina, del- l’imolese Giacomo Costa e dello stesso Parrini. Pochi mesi dopo, nel febb. 1877, il circolo alessandrino dava vita a un proprio organo a stampa, Il Lavoratore, le cui pubblicazioni continuarono poi, clandestinamente e sotto altro tit., a dispetto delle autorità consolari italiane che ne avevano chiesta e ottenuta la soppressione; e, nell’april dello stesso anno, comunicava la propria adesione al «Congresso universale socialista» di Gand, conferendo ad Andrea Costa la delega a rappresentarli [4].
Sono sempre di questo periodo le promettenti notizie sull’espansione dell’Internazionale in territorio ottomano e la costituzione, in più località, di nuovi nuclei e sezioni [5]. Le repressioni seguite in Italia ai falliti moti del beneventano, determinarono, inoltre, un nuovo esodo di internazionalisti nel khedivato. Verso la fine del 1878, vi giunsero, fra gli altri, Guglielmo Sbigoli, Luigi Alvino e lo stesso Malatesta, che prese dimora in Alessandria, trovandovi lavoro come impiegato privato. Il suo soggiorno nel centro egiziano fu, comunque, di breve durata. Alla notizia dell’attentato di Passanante contro Umberto I (17 nov. 1878), gli ambienti monarchici d’Egitto inscenarono, infatti, clamorose dimostrazioni reclamando energici provvedimenti contro gl’internazionalisti [6].
b) nella fondazione di una stamperia clandestina, decisa nel corso della medesima riunione [7]; e di un «Circolo Europeo di Studi Sociali», aperto a «tutti coloro che desideravano studiare la questione sociale».
c) col ritorno in Egitto di E. Malatesta, accompagnato da Cesare Ceccarelli, Gaetano Marocco e Apostolo Paolides, per tentarvi una partecipazione armata, in favore dell’insurrezione arabista dell’estate 1882.
Il rientro in Europa, tra gli ultimi mesi dell’ ’82 e i primi dell’ ’83, degli elementi più qualificati e le spaccature createsi all’interno del movimento, in conseguenza dalla «svolta» costiana, determinarono, infine, una nuova paralisi dell’attività anarchica, almeno in Alessandria. Ad accelerare l’opera di dissolvimento, s’inserì anche il governo italiano, che aveva chiesto e «ottenuto la facoltà di arresto ed estradizione dal territorio dell’Impero Ottomano e dipendenze», dei sovversivi colpiti da mandato di cattura [8]. L’Egitto, pertanto, non rappresentò più, per i perseguitati politici, un sicuro luogo di approdo; e quanti già vi si trovavano esiliati, preferirono prendere il largo, assottigliando così, sensibilmente, le file del movimento. Fra questi ultimi era anche l’internazionalista Florido Matteucci, giunto ad Alessandria nella primavera del 1881, unitamente a O. Falleri, ma ripartito, in conseguenza di tali disposizioni, dopo solo pochi mesi di soggiorno in territorio ottomano.
Direttamente influenzato dalle nuove concezioni nichiliste dell’anarchismo, elaborate in Svizzera fin dall’inizio degli anni ’80, da Emilio Covelli e Carlo Cafiero, e penetrate rapidamente in Egitto, il gruppo di Alessandria tendette sempre più a convergere verso posizioni individualiste, con forti tinte di illegalismo [9]; e, dopo il 1890, particolarmente in seguito al rientro in Egitto, dopo nove anni di assenza, di I. Parrini, esaurì in pratica la sua attività in una serie continua di polemiche contro tutte le correnti organizzate del movimento.
Al Cairo, invece, dove la penetrazione delle idee intemazionaliste risaliva a data di poco più recente [10], il movimento anarchico parrebbe aver mantenuto, per qualche anno ancora, una certa consistenza. Nella primavera del 1883, sappiamo che quivi era attivo un gruppo vivacizzato dalla presenza del senese Giuseppe Baldini — già colonnello garibaldino — di Oreste Falleri, Cesare Pichi e Giuseppe Mattei [11]. Due anni più tardi, troviamo le sezioni anarchiche cairote raccolte in un’unica Federazione — di cui era segretario l’internazionalista fiorentino Gaetano Grassi — aderente alla risorta a. I.D.L. A conferma della propria linea antilegalitaria e rivoluzionaria, gli anarchici federati del Cairo approvavano inoltre, nel corso di una riunione tenuta la sera del 23 mag. 1885, un o.d.g., con cui si condannava senza reticenze, la «mistificazione» costiana e si chiedeva la massima intransigenza nei confronti dei socialisti legalitari: «Ora la mistificazione è palese; i socialisti politici e la loro stampa sono la peste che ammorba e decompone il partito della Rivoluzione Sociale. Bisogna disinfettare!» [12].
L’assenza di notizie, dopo questo periodo, induce a supporre che anche nella capitale si sia spenta ogni manifestazione di anarchismo, a partire, almeno, dalla fine degli anni ’80. Per ritrovare i segni di concreti fermenti libertari in Egitto, è necessario, d’altronde, attendere i primi del nuovo secolo. Le repressioni crispine e, quindi, quelle pellouxiane, avevano indotto infatti, numerosi sovversivi a cercare riparo nel khedivato; sicché, fin dalla fine dell’ultimo decennio del secolo scorso, il movimento anarchico italo-egiziano poté contare su una forza numerica indubbiamente rilevante, oltre che sulla qualificata presenza di alcuni fra i più noti esponenti rivoluzionari. Nel 1894 vi era giunto, tra i primi, evadendo dal coatto, il livornese Francesco Cini; sulla sua scia vi penetrarono, più tardi, e solo per ricordare i nomi più noti, l’internazionalista fiorentino Pietro Vasai che sarà poi l’ispiratore e l’animatore di tutte le principali iniziative di carattere libertario, sviluppatesi in Egitto fino allo scoppio della I Guerra Mondiale [13]; e, sui primi del 1900, lo stesso Luigi Galleani, che vi soggiornò, partecipando attivamente alla vita del locale movimento, fino a circa la metà dell’anno successivo [14].
Del tutto infruttuosi si rilevarono, comunque, i tentativi di penetrazione politica all’interno del locale ambiente operaio. Carenti sotto il profilo organizzativo [15] e privi di una base programmatica unitaria, i libertari italiani d’Egitto non seppero, in realtà, svolgere un genere d’intervento politico adeguato alle esigenze di un ambiente, che non rispondeva, ovviamente, agli schemi di quelli europei e che si rivelava, per di più estremamente refrattario ad accogliere le nuove dottrine rivoluzionarie. «La classe operaia egiziana — scriveva, infatti, nel 1905 R. D’Angiò — sia perché in Egitto si vive relativamente meglio che altrove, sia perché le idee anarchiche la spaventano realmente, sia per ragioni di clima e di abitudini orientali, si è tenuta sempre costantemente, anzi cocciutamente, lontana dagli anarchici» [16].
Numerose, comunque, furono le iniziative di carattere sociale e sindacale, portate avanti dagli anarchici in quell’arco di anni, nella speranza, appunto, di agganciare il proletariato indigeno e recuperarlo politicamente: dalla fondazione, nel 1901, dell’Università Popolare Libera di Alessandria [17], alla costituzione dei «Servizi sanitari d’urgenza» [18], ai vari tentativi, infine, portati avanti particolarmente da P. Vasai e R. D’Angiò, di organizzare «Leghe di resistenza» operaie, su modello di quelle europee [19]. Nel quadro di questa intensa attività, s’inserì anche, nel lug. 1902, la fondazione del foglio «anarco-sindacalista» L’Operaio, le cui pubblicazioni suscitarono un vespaio di polemiche e l’opposizione più intransigente da parte degli individualisti e particolarmente di I. U. Parrini, che dal Cairo, dove si era nel frattempo trasferito, lanciò i suoi anatemi contro l’indirizzo «deviazionista» dell’organo alessandrino, attraverso le colonne de Il Domani.
I dissidi e le polemiche con cui in Egitto vennero violentemente a confronto questi due diversi metodi di lotta rivoluzionaria, contribuirono, non poco, a isterilire il lavoro di propaganda e di progressiva penetrazione politica all’interno della classe lavoratrice. Una tournée di Pietro Gori (febb.-mar. 1904) in Egitto, chiamatovi a tenere un ciclo di conferenze dagli anarchici alessandrini, che non intendevano «perdere il frutto degli sforzi fatti per inculcare nelle menti dei lavoratori idee libertarie» [20], non pare abbia dato risultati apprezzabili sul piano della propaganda, ed offrì piuttosto il movente per rinfocolare antichi contrasti settari. («Fu in Egitto — scrisse in tale occasione il Parrini [21] — che il Malatesta, or sono 22 anni, gettava le basi per la risurrezione dell’Internazionale, perciò non mi meraviglierebbe che il Gori gettasse le fondamenta del partito dei socialisti antiparlamentari»).
Seguì una nuova fase di ristagno, accentuatasi particolarmente, dopo la partenza dall’Egitto di R. D’Angiò (1905) e la morte di Parrini (1906), i due maggiori polemisti ma indubbiamente anche due fra gli attivisti più impegnati. Sintomi evidenti di ripresa si ebbero, invece, intorno al 1909. In quell’anno i dispacci delle autorità italiane nel khedivato al Ministro dell’Interno, segnalavano la presenza anarchica in numerose iniziative laiche, fra cui la «sezione dei liberi pensatori», istituita in Alessandria da Umberto Bambini e che — secondo un rapporto in data 10 ag. 1909, del R. Agente Diplomatico al Cairo — contava già «oltre 200 membri, promettendo di diventare un importantissimo centro di propaganda anarchica» [22]; e, fatto particolarmente significativo, la compartecipazione (insieme coi socialisti) degli anarchici del Cairo, alla costituzione della «Federazione internazionale di resistenza fra gli operai» [23].
La necessità di gettare le basi per un’intesa programmatica fra gli anarchici italiani in Egitto e di discutere «le questioni che in questo paese maggiormente interessano per tracciare delle norme atte a determinare una propaganda, coerente alle aspirazioni libertarie ma efficace e pratica in modo da interessare e gli operai della mente e quelli del braccio», suggerì infine, l’opportunità di indire un Convegno nazionale, tenutosi, in effetti, il 1 ag. 1909, in Alessandria, presso la sede del «Circolo Ateo». Era presente una delegazione degli anarchici del Cairo — promotori dell’iniziativa — composta da Gaetano Nocchi, Alfredo Albano, Camillo Brigido [24], Cesare Franceschetti, Cesare Sacchi, Pietro Vasai, Luigi Ferdinando Paratocci e Giovanni Brunello. Ai sei quesiti presentati dai gruppi cairoti — relativi ai rapporti con gli altri partiti; alla tattica da adottare per «una propaganda efficace e pratica»; alla partecipazione o meno degli anarchici alle associazioni politiche ed economiche, come anche alla formazione di organizzazioni operaie e leghe di resistenza; ai concetti cui attenersi ai fini della propaganda attiva; e, infine, alla stampa — le risoluzioni approvate «alla quasi unanimità» dai convenuti, rispondevano che: 1) sono considerati «come partiti nemici ed avversari quelli che ammettendo il dogmatismo, sono confessionali; e quelli altresì che si oppongono a non riconoscere la necessità delle trasformazioni sociali mediante la lotta incessante contro tutti gli ostacoli che si frappongono al raggiungimento della meta che è l’abolizione della proprietà privata e dell’autorità dello Stato»; 2) devono essere adottati «tutti quei mezzi di propaganda che possono contribuire a far conoscere agli ignari, la bontà, la bellezza e la praticità dell’ideale anarchico, perciò: propaganda orale e scritta; propaganda con giornali, opuscoli, letture, conferenze contraddittorie, biblioteche circolanti; promuovere l’istruzione razionale dei fanciulli d’ambo i sessi; sviluppare le Università Popolari; intervenire individualmente o collettivamente in tutte le agitazioni d’indole morale, economica e sociale, attivamente partecipare in tutte le lotte tra capitale e lavoro, ed infine mantenere nella vita pubblica e privata quella coerenza tra idealità ed azione, che attiri verso gli anarchici la simpatia popolare»; 3) «L’anarchico come individuo, può prendere parte a tutte quelle associazioni — purché non confessionali — che non attentano alla libertà individuale ed alla dignità dell’ideale anarchico»; 4) se l’organizzazione operaia viene ritenuta «utile ed efficace», gli anarchici «possono entrare a far parte delle leghe di resistenza, dei sindacati od altri sodalizi equivalenti già esistenti e, magari, spingere i lavoratori alla formazione dei nuovi»; 5) «Le idee che gli anarchici qui residenti, devono sostenere con propaganda pratica, nella vita quotidiana», sono quelle scaturite dal convegno; mentre «per le concezioni filosofiche, hanno libertà assoluta di esplicazione intellettuale»; 6) essendo universalmente avvertita l’esigenza di disporre d’un organo di propaganda, viene approvata la pubblicazione di un periodico quindicinale, da intitolare L’Idea e destinarsi alla distribuzione gratuita [25].
La spinta ricostruttiva, messa in atto dopo gli accordi scaturiti dal convegno alessandrino, fu comunque di breve durata, se solo quattro anni più tardi, i redattori di Libera Tribuna dovevano amaramente constatare che «le dissenzioni e le guerre intestine, piaga di cui è infetto l’elemento anarchico d’Italia specialmente, anche qui producono il medesimo effetto deleterio. Non è possibile d’iniziare un lavoro se non prima che abbia il suo seguito non sorgano le solite questioni di dissenso che paralizzano lo slancio dei volenterosi... Non basta. Se i dissensi vengono sconfitti dalla buona volontà di chi vuol ben fare, la guerra intestina sorge velenosamente gelosa in maniera da soffocare ogni energia, inducendo gli animi alle rinuncie piuttosto che rispondere usando le medesime armi … Non sono i colpi della reazione che ci condannano all’inerzia, ma la caparbietà e la malafede che germoglia in mezzo a noi» [26].
Al paziente e tenace lavoro riorganizzativo, portato avanti da P. Vasai in quell’arco di anni, si deve comunque la realizzazione del periodico L’Unione, ultima concreta manifestazione di un’attività militante fra gli anarchici italiani in Egitto, anch’essa ridotta, poco dopo, al silenzio, causa lo scoppio del I conflitto mondiale.
Affetto da tubercolosi e ormai in preoccupanti condizioni di salute, Vasai si vide costretto nel giugno 1916, a rientrare in Italia, dove si spense l’11 dicembre di quello stesso anno. Con lui sparì l’unico propagandista in grado di ridare, dopo la cessazione del conflitto, un nuovo impulso all’attività anarchica in Egitto, che dopo quell’epoca non risulta, invece, avere più dato segni di ripresa.
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La documentazione discontinua e frammentaria — che una ricerca più localizzata, potrebbe in gran parte integrare — impedisce purtroppo di seguire uniformemente, lo sviluppo dell’anarchismo italo-egiziano. Una valutazione storica e politica d’insieme, sulla base almeno, di queste brevi note cronistoriche, sarebbe perlomeno affrettata, molti punti restando ancora da chiarire. Poco noti sono ad es., i legami di interdipendenza e di reciproca influenza con l’elemento sovversivo levantino (in prevalenza greco-illirico) presente nelle due metropoli egiziane, la cui attività si svolse, il più delle volte, congiuntamente a quella degli italiani; e soprattutto manca l’accertamento delle connessioni e dei rapporti intercorsi coi locali ambienti massonici e che ho motivo di ritenere siano stati più profondi e duraturi, di quanto una frettolosa presa di contatto con le fonti documentative dell’anarchismo italo-egiziano induca a supporre.
Certamente scarsa, se non nulla, fu in ogni modo l’influenza esercitata dal movimento sul proletariato indigeno, anche se non mancò, specialmente in alcuni periodi, qualche serio tentativo di avviare un rapporto dialettico con la classe operaia locale. La violenta opposizione degli individualisti a questo genere d’iniziativi e, d’altro lato, la marcata diffidenza della popolazione arabofona, per ogni genere di prodotto anche culturale d’importazione europea, contribuirono non poco a vanificare ogni sforzo di penetrazione politica all’interno dei ceti proletari egiziani.