Home > Periodici per data > Anarchico

Bettini-0789

L’Anarchico

organo del gruppo socialista-anarchico-rivoluzionario italiano “Carlo Cafiero”


Durata: 1888-1888


Scheda elaborata da L. Bettini:

  • Sottotitolo: Organo del Gruppo Socialista — Anarchico — Rivoluzionario Italiano «Carlo Cafiero».
  • Motto: «A Dio la scienza — All’autorità l’anarchia».
  • Luogo di pubblicazione: New York.
  • Tipografia:
    • New York, Tip. J. H. Carbone, 178 Park Row.
    • Dal 30 giu. 1888 (a. I, n. 6): Tip. G. Balletto, 108 Thompson St.
  • Durata: [1 genn. 1888 (a. I, n. 1)] 1 febb. 1888 (a. I, n. 2) — 30 giu. 1888 (a. I, n. 6).
  • Periodicità: «Esce il primo d’ogni mese». In realtà, la periodicità fu estremamente irregolare.
  • Formato:
    • cm. 30,5 × 41.
    • Dal 30 giu. 1888 (a. I, n. 6): cm. 31,5 × 48,5.
  • Pagine: 4.
  • Colonne: 4.
  • Note tipogr.: Il n. del 18 mar. 1888 (a. I, n. 3), è stampato su carta rosa.

IISG (Alla raccolta manca il n. 1).

UM. F1A (Copia microfilmica).


Il 10 genn. 1888, gli anarchici italiani di New York, facenti capo al «Gruppo C. Cafiero», riunitisi in assemblea straordinaria, approvavano una delibera, nella quale si riconosceva la necessità di mantenere in vita, in territorio americano, una pubblicazione periodica di propaganda, dal momento che — era precisato — in Italia «per la solerzia della prepotente polizia … assoldata da un governo monarchico costituzionale, è impossibile per il momento esprimere le proprie idee» (cf. Ai Compagni d’Italia, n. 2, del 1 febb.). Nasceva così L’Anarchico, la più antica e concreta espressione dei primi gruppi sovversivi, formatisi appunto negli anni ’80, in uno dei maggiori centri di ritrovo degli immigrati italiani.

Sorto in un periodo che aveva visto il riacutizzarsi di pericolose tendenze xenofobe contro i lavoratori stranieri, specie quelli provenienti dall’Europa Sud-Orientale — tendenze che si andavano concretizzando con proposte di legge restrittive sull’emigrazione (cf. Report of the Commissioner of emigration in the State of New York for the year 1888, New York 1889) e, in particolare, con provvedimenti repressivi contro l’elemento sovversivo — L’Anarchico fu il portavoce del senso di disagio e di crescente malumore, che tale stato di cose aveva inevitabilmente prodotto nell’ambiente degli immigrati italiani. Ricorrente era sulle colonne del periodico newyorkese, il tema dello sfruttamento della mano d’opera straniera e la denuncia degli abusi che la società capitalistica americana consentiva alla propria categoria imprenditoriale, la quale poteva impunemente ricorrere ai sotterfugi più meschini, pur di ottenere abbassamenti salariali. Cf., ad es., Leonida Rinaldi, Le astuzie di certi capitalisti, n. 4, del 14 apr.

I pregiudizi discriminatori e xenofobi, ormai radicati nella pubblica opinione e il sempre più marcato nazionalismo yankee, erano invece sottolineati in alcuni articoli di «Randofer», quali Infame ed infame (n. 6, del 30 giu.), con cui si denunciavano le mene in atto per limitare il flusso migratorio; e L’Anarchia in America (n. 4, del 14 apr.), dove veniva lamentata la sequela di leggi repressive promulgate ai danni degli anarchici ed anch’esse dettate — sec. l’analisi dell’articolista — da pregiudizi razziali, volendosi essenzialmente colpire i lavoratori stranieri, attraverso le ideologie rivoluzionarie da essi importate: «Domandate loro perché queste leggi contro gli anarchici e vi risponderanno che gli anarchici non sono Americani; che sono gente scacciata dai loro paesi, oppure gente che la miseria ha costretto ad emigrare. Se voi rispondete che precisamente questi sono i più sfruttati, essi vi replicheranno che questa gente poteva restare nel loro paese nativo … Domandate loro da dove essi provengono e sempre vi contesteranno che essi sono americani. Americani! Ecco la gran parola …».

Quanto falso d’altronde, fosse il mito della tolleranza yankee, nei confronti dei movimenti politici d’opposizione, rilevava amaramente anche «Lettoba», in un art. a proposito di Labor Union. O la polizia e i politicanti d’America (n. 5, del 12 mag.). «Qui dove tutti i cretini credono di essere nel paese più libero e più democratico del mondo — vi si legge fra l’altro — si vede l’autocrazia del dollaro regnare su ogni cosa, su ogni sentimento, su ogni virtù, su ogni atto infine che potesse recare alcun beneficio all’umanità. È bensì vero che qui trovano rifugio i condannati politici e gli esigliati di molte nazioni europee; ma questo privilegio loro concesso, non è che il servizio vile ed umigliante che i diplomatici d’America rendono ai loro colleghi d’Europa».

Rifletteva invece, lo stato di apprensione e di malumore diffuso in larghi strati del ceto operaio, giustamente preoccupato delle aree sempre più vaste di disoccupazione che andava creando il processo di automazione in atto nei complessi industriali americani, lo scritto di «Eros», Le macchine e gli operai. Come in regime socialista le macchine sarebbero un bene per tutti, apparso sul n. 2, del 1 febb. I problemi creati al mondo del lavoro dal progresso tecnologico — vi è detto in sostanza — non sono risolvibili se collocati al di fuori di un discorso strettamente politico. In altri termini, mentre all’interno di una società capitalistica, la tecnologia più avanzata si pone al servizio del profitto individuale, in una società socialista essa andrebbe a vantaggio dell’intera classe lavoratrice. Se gli operai vedono di mal’occhio le macchine, è perchè avvertono «che la macchina oggi, è un loro poderoso, invadente, inesorabile nemico, una concorrente implacabile che li scaccia via dagli uffici e dai campi e li lascia — in numero ognora crescente — senza lavoro e senza pane, alle presa colla miseria … Ma supponete un po’ che il socialismo sia attuato. Allora il padrone non ci sarebbe, la macchina apparterrebbe alla società, ossia alle stesse operaie; e nelle mani delle operaie essa sarebbe evidentemente la benvenuta, l’amica invocata, che verrebbe a rendere meno lunga e faticosa la loro giornata di lavoro, nello stesso modo che ora la macchina da cucire serve a rendere meno grave e più produttiva la fatica della cucitrice che ha la fortuna di possederla. Non sono dunque le macchine che danneggiano l’operaio — tutt’altro; ma è l’organizzazione economica attuale, in quanto le lascia in mano ai padroni».

Largo spazio era infine concesso, sulle colonne del giornale, a scritti di propaganda generica o di stretto contenuto anticlericale. Vd., ad es., Un malfattore ai lavoratori [di G. Rejmond] apparso in due puntate sui n. 1 e 2; Sergio de Cosmo, L’emancipazione della donna (n. 4, del 14 apr.); «Randofer», I preti moderni (ivi); «Adamo ex Chierico», Risvegliati, o gioventù (n. 5, del 12 mag.), etc. Da segnalare è, in particolare, l’intero n. 3, del 18 mar., uscito in speciale veste tipografica e totalmente dedicato all’esaltazione della Comune parigina, «quella memorabile epopea francese che non solo fece vedere al mondo intero come una rivoluzione radicale possa farsi e vincersi, ma che altresì dimostrò a tutta l’umanità come l’ideale anarchico possa realizzarsi e sostenersi per sempre, togliendo però dalla sua via quei vermi ambiziosi che come Thiers, non servono che per congiurare contro il benessere apportato dalla riabilitazione sociale».


 


 Collegamenti agli archivi
Biblioteca Franco Serantini:  http://bfsopac.org/cgi-bin/koha/opac-detail.pl?biblionumber=41102
International Institute of Social History (IISG, Amsterdam): https://hdl.handle.net/10622/3C419ACA-ADF9-4A6D-8BF1-17B2064F22DA

Uscite:

  • anno 1
  • [n. 1 (1888, 1 genn.)]
  • n. 2 (1888, 1 febb.)
  • n. 3 (1888, 18 mar.)
  • n. 4 (1888, 14 apr.)
  • n. 5 (1888, 12 mag.)
  • n. 6 (1888, 30 giu.)


Anche: questo titolo sulla RebAl (Rete della Biblioteche Anarchiche e Libertarie)

Red. della scheda: Leonardo Bettini